Wednesday, June 15, 2005

Fidarsi di Internet

Presentato al Convegno italo-francese Etica di Internet, organizzato dall'Ambasciata di Francia in Italia, Roma 17 giugno 2005.

Cosa significa fidarsi di Internet? Quali atti di fiducia esercitiamo nelle nostre interazioni virtuali ? Il tema della fiducia su Internet è diventato onnipresente nella riflessione sociologica, etica ed economica intorno all’uso sociale della rete. Internet ha creato nuove opportunità di contatto tra estranei: potenziali clienti, interlocutori, collaboratori, amici. Ma nuovi contatti significano anche nuovi rischi. I tradizionali filtri di reputazione non hanno impatto, o almeno non sufficiente, in comunità distribuite sui cinque continenti, in cui gli agenti non sono vincolati a condividere né norme, né regolamentazioni e tanto meno abitudini e costumi. Il caso paradigmatico è quello di eBay, la più grande piattaforma mondiale di vendite on line. eBay mette a disposizione di venditori e acquirenti uno spazio di mercato virtuale nel quale gli utenti possono vendere e acquistare qualsiasi tipo di oggetto grazie a un’interfaccia molto semplice da utilizzare e a un sistema di regolamentazione delle transazioni. Ma eBay espone il potenziale acquirente a un rischio : perché infatti il venditore dovrebbe comportarsi onestamente, dato che « l’ombra del futuro », ossia l’influenza della qualità del suo comportamento oggi sulle interazioni future (come l’ha definita lo studioso di cooperazione Robert Axelrod) non gioca nessun ruolo in negoziazioni che avvengono una sola volta ? Se il venditore è razionale, e sa che non rischia nessuna sanzione nel tradire la fiducia dell’acquirente, perché dovrebbe cooperare ?
In termini di scelta razionale e massimizzazione dell’utilità, Internet sembra il terreno ideale per favorire i comportamenti non cooperativi, come la defezione, il tradimento della fiducia, e l’oppurtunismo. In fondo, se vendo una volta sola su eBay, sotto un’identità anonima, non è più razionale mentire sul prezzo nella speranza di incontrare un acquirente ingenuo, o nascondere un difetto della mia merce, o peggio ancora prendere i soldi e scappare ?
Ciò che rende il fenomeno Internet di particolare interesse etico è che in realtà molti risultati mostrano che la rete non sfavorisce la cooperazione, anche in quei tipi di interazione, come lo scambio commerciale, in cui parrebbe ovvio pensare il contrario.

Oggi cercherò di spiegare quale tipo di fiducia Internet tende a generare e perché la cooperazione in rete è razionale. La mia tesi è che i modelli della fiducia utilizzati nella spiegazione dell’interazione in rete non tengono sempre conto di un fattore centrale della cooperazione via Internet, ossia del ruolo dello scambio comunicativo nelle relazioni di fiducia che si stabiliscono in rete. Internet è un mondo testuale, di discorsi e conversazioni. La fiducia reciproca è anche frutto della qualità di questi scambi testuali, e delle regole tacite che gli interlocutori rispettano nei contesti conversazionali. Presenterò una nozione di fiducia virtuale che è in gioco nella conversazione e che a mio avviso si presta bene spiegare la costruzione della fiducia nelle interazioni in rete.

Cominciamo da qualche esempio di tipi di fiducia che caratterizzano tipi di utenti su Internet. Le comunità di scambio presenti sulla rete sono di vario tipo. Posso andare su Internet per acquistare un biglietto d’aereo, per cercare informazioni, per incontrare nuove persone, per condividere esperienze, per vendere un prodotto, etc. Fidarsi in questi diversi casi può significare cose differenti: posso scommettere sull’affidabilità del sistema con cui interagisco, per esempio nel proteggere le informazioni sulla mia carta di credito (nello stesso senso in cui considero la mia banca affidabile nel proteggere il mio denaro da possibili malintenzionati), oppure fidarmi dell’onestà del mio interlocutore in una transazione, o ancora fidarmi della competenza di un autore o di un’istituzione nel fornirmi informazioni corrette su un certo argomento. Posso fidarmi della reputazione di un forum di comunità.

Quali sono i meccanismi coinvolti nella costruzione di tipi così diversi di fiducia? Possiamo parlare di una forma di fiducia tipica delle interazioni virtuali?
Per meglio comprendere la varietà di atti di fiducia che possiamo fare attraverso Internet, presenterò qui alcune distinzioni normative di forme di fiducia per poi spiegare perché Internet incoraggia un’allocazione a priori di fiducia nelle relazioni interpersonali.

Modelli di fiducia

Fiducia strategica
Il sociologo Diego Gambetta definisce la fiducia come: “il particolare livello di probabilità soggettiva con il quale un agente valuta che un altro agente o gruppo di agenti farà una certa azione, prima di poter monitorare quest’azione e in un contesto in cui l’azione dell’altro ha un effetto sul corso delle sue azioni”

La teoria della scelta razionale cerca di rendere conto della razionalità della fiducia in termini di valutazione della probabilità di azioni future. La fiducia è dunque uno degli ingredienti che determinano la scelta di un individuo o di un gruppo di una strategia d’interazione. Ovviamente la fiducia è una nozione interessante se rende conto del rischio che corriamo nel coinvolgerci in una relazione con un altro. E, nel quadro di una spiegazione razionale dell’azione, correre il rischio di coinvolgersi in una relazione (economica, sociale, affettiva) con un’altra persona deve accompagnarsi a un’allocazione di probabilità sul futuro coinvolgimento dell’altro nella relazione. Questa allocazione di probabilità può dipendere dal peso delle interazioni passate sulle interazioni future, o da una razionale valutazione di quanto sia nell’interesse dell’altro di tener conto dei miei propri interessi . Nelle formalizzazioni della teoria dei giochi (si veda Axelrod 1984) la razionalità della cooperazione strategica con gli altri è spiegata in termini di sanzioni in cui un agente incorre se non è colaborativo. Ossia: è razionale cooperare perché posso calcolare che, a lungo termine, cooperare mi conviene (gli esempi tipici sono giochi come Il Dilemma del Prigioniero).
Il limite di questo tipo di analisi nel caso di Internet è che in molti casi non disponiamo di informazioni sufficienti sul contesto passato e sul futuro dell’interazione perché la nostra cooperazione sia razionale. La reputazione richiede interazioni ripetute che, come abbiamo visto, non caratterizzano sempre gli scambi su Internet. Inoltre, la mancanza in molti contesti di interazione virtuale di norme sociali e culturali condivise ha spesso come conseguenza che l’idea che ci facciamo dei nostri interlocutori virtuali sia influenzata dai nostri pregiudizi culturali. Non è chiaro quindi come facciamo, in un contesto virtuale, a calcolare la probabilità soggettiva dell’azione futura del nostro interlocutore.

Fiducia morale o “affettiva”

Un’intuizione che non sembra catturata dalle letture strategiche della fiducia è che spesso fidarsi non significa coinvolgersi dopo aver calcolato la probabilità dei rischi, ma sentirsi sicuri di potersi “lasciare andare” in un’interazione senza averne calcolato i rischi. Otto Lagerspetz ha così descritto questo aspetto “emotivo” della fiducia: “trust is not the fact that one, after calculating the odds, feels no risk: It is feeling no risk without calculating the odds” . Gli aspetti non cognitivi della fiducia sono considerati in filosofia morale come centrali per comprendere il potere della fiducia nello stabilire una cooperazione: una metafora vivida della fiducia come “accettata vulnerabilità” a una possibile, ma non certa, malevolenza da parte degli altri e che incentiva la reciprocità è l’esercizio a cui vengono sottomessi a volte i giovani attori in un primo corso di teatro: il principiante è incoraggiato a lasciarsi cadere nelle braccia degli altri, fidandosi che gli altri lo sosterranno. La fiducia emotiva è ben catturata dalla sensazione di “lasciarsi andare’ nelle braccia degli altri. La fiducia sarebbe così uno dei nostri molteplici “sentimenti morali”, che ci guidano, pre-razionalmente, nell’azione e che influenzano il comportamento degli altri .
Il vantaggio di una spiegazione “non-cognitiva” della fiducia, come qualcosa di indipendente dalla probabilità soggettiva è che questa intuizione dovrebbe guidarci anche in situazioni in cui l’informazione è scarsa. Inoltre essa è utile per rendere conto delle molteplici situazioni in cui la fiducia non è una questione di scelta: un bambino ad esempio non sceglie di fidarsi di un genitore; più in generale, le relazioni di fiducia possono essere altamente asimmetriche dal punto di vista emotivo e cognitivo.
Cosa possiamo dire di questo tipo di fiducia motivazionale nel caso della rete? Un’attitudine, diciamo “pre-razionale” fiduciosa può certamente motivare un ottimismo reciproco nelle interazioni via rete. Ma normalmente questa fiducia motivazionale, non cognitiva, caratterizza, secondo la sociologia, le interazioni in piccoli gruppi sociali. Uno dei fondamenti della teoria dei gruppi sociali è che certe qualità dell’interazione sociale, come l’altruismo, la solidarietà e la cooperazione, tendono a decrescere con l’aumentare della taglia del gruppo , mentre in Internet l’aumento della taglia del gruppo non sfavorisce la cooperazione. Cosa fa sì che in Internet la dimensione non conti? Inoltre Internet non è soltanto un terreno di incontri e di potenziale vulnerabilità personale (economica, psicologica, fisica). Internet è soprattutto un terreno di vulnerabilità epistemica, dato che costituisce il più grande repertorio di informazioni mai esistito: le nostre interazioni fiduciose nell’acquisire informazione potrebbero risultare in semplice credulità.

Fiducia epistemica

Fidarsi di Internet può significare credere nell’affidabilità delle informazioni che acquisiamo attraverso la rete. In questo caso, la fiducia è riposta non solo sull’affidabilità morale (l’onestà) dell’interlocutore, ma anche sulla sua affidabilità epistemica (la sua competenza). Molta epistemologia contemporanea cerca di comprendere quali sono i meccanismi razionali di allocazione di fiducia nella trasmissione di conoscenze. Posso fidarmi del mio interlocutore perché sono in grado di giudicare la sua migliore “posizione epistemica” nei confronti di un’informazione. Per esempio, telefono a un amico a Roma prima di partire per sapere che tempo fa e mi fido di quello che mi dice perché giudico migliore la sua posizione per acquisire un’informazione di questo tipo (in fondo lui è a Roma e io sono a Parigi). Posso fidarmi dei filtri di selezione che hanno reso pubblica un’informazione. Per esempio, mi fido di più di una notizia scientifica apparsa su Nature che di una apparsa sulla rivista Marie Claire perché conosco il sistema di peer-review delle riviste scientifiche e lo trovo valido nel selezionare informazione di qualità sulla ricerca scientifica. Posso ancora fidarmi della reputazione di colei o colui che mi fornisce l’informazione, ossia dell’autorità intellettuale che si è guadagnata/o in un certo ambito. La divisione del lavoro cognitivo è regolata da norme e convenzioni che determinano quello che potremmo chiamare “l’ordine epistemico” di una società (per fare eco all’idea di ordine sociale). La fiducia nell’ordine epistemico, ossia chi sa cosa, è un ingrediente fondamentale della stabilità delle comunità e dei gruppi sociali.
Che ne è della fiducia epistemica sulla rete? Cosa significa un’informazione credibile? Il problema della fiducia epistemica su Internet è che molti dei criteri indiretti di valutazione della competenza dei nostri informatori in rete dipendono dall’ordine epistemico tradizionale, che non è rispecchiato nella rete. Inoltre il sistema dei link che stabilisce le gerarchie sulla rete manifesta alcune proprietà delle reti sociali, le reti cosiddette aristocratiche, per cui chi è già ricco (di link verso di sé) tende a diventarlo sempre di più (il noto fenomeno rich get richer) . Certo, Internet ha permesso di sviluppare nuovi criteri di filtraggio dell’informazione che hanno uno certa robustezza strutturale, come il sistema PageRank di Google, che legge la struttura dei link e dà un peso negativo ai siti che chiedono di essere referenziati o i sistemi di reputazione, che permettono ad ogni utente di esprimere un voto su un sito o un particolare prodotto, che si somma a quello di altri utenti per fornire un’informazione leggibile dagli utenti successivi, o ancora la “gerarchizzazione” della struttura dei link oggi possibile grazie ai tag come , sempre più usato nei blogs, che permette di creare un link dalla propria pagina verso un sito, ma di non aumentare la sua popolarità. Esistono dunque modi di costruire la fiducia epistemica che sono propri a Internet e che non riflettono automaticamente le gerarchie di distribuzione delle conoscenze e le classificazioni del sapere tradizionali.
Benché la costruzione di forme di fiducia epistemica, ossia di valutazione della competenza, è un problema centrale per la rete, neanche la nozione di fiducia epistemica sembra esaurire la questione della fiducia su Internet.

Che cos’è la fiducia virtuale?

Spesso quando si parla di fiducia su Internet si intende una particolare qualità dello scambio interpersonale in rete, che sembra in contrasto con qualsiasi teoria dell’azione sociale. Come abbiamo visto, la predisposizione ottimistica alla cooperazione che caratterizza un certo stile delle interazioni in rete non solo è in contraddizione con le attese sul comportamento strategico razionale. Ma anche nei termini della sociologia dei gruppi, che vede una correlazione inversa tra fiducia e dimensione del gruppo, la cooperazione su Internet sorprendre. Che cosa caratterizza questa speciale fiducia che si crea in rete più facilmente che in altri tipi di interazione sociale?
Per rispondere, proviamo prima a farci qualche domanda. Cosa ci aspettiamo da un’interazione in rete? In un articolo sulla fiducia su Internet, la filosofa Victoria McGeer discute di un caso di falsa identità in una comunità di discussione newyorkese. Una signora anziana e disabile, Julie, partecipa attivamente a un forum di discussione per persone anziane e ritrova la gioia di vivere attraverso le amicizie strette in rete. Tanto stretta è l’amicizia via Internet, che una delle sue ammiratrici decide di incontrarla. Ora, si scopre che la signora è in realtà un uomo, psichiatra e perfettamente sano. I membri della comunità online sono basiti e considerano il comportamento della finta Julie come un tradimento insopportabile. Ma è davvero chiara l’intuizione morale di tradimento in questo caso? In fondo Julie aveva dato il suo contributo alla conversazione nel forum, aveva permesso agli altri membri di ben comprendere la sua identità virtuale e di trarne beneficio nel dialogo. Non potrebbe essere un tradimento la mossa dell’amica che viene a cercare un contatto fuori dalla comunità virtuale? Quale rischio ha fatto correre la falsa Julie agli altri membri della comunità presentandosi con quell’identità? Di quanta verità abbiamo bisogno perché un’interazione sia soddisfacente e perché valga la pena di cooperare? In un caso come questo di un forum in cui non si vende né si compra nulla, né si prodigano cure o rimedi, e nemmeno si prevede di incontrarsi in carne ed ossa, il fatto che lo psichiatra Julie abbia “tradito” la fiducia è tutt’altro che ovvio.
L’esempio di Julie dovrebbe farci riflettere sul tipo di fiducia e di affidabilità che vogliamo da Internet. Nei luoghi di scambio interpersonale attraverso la rete come i forum (anche professionali), le comunità di expertise, i punti di incontro, la relazione di fiducia si tesse attraverso il discorso. E’ parlando con gli altri che ci rendiamo conto di quanto possiamo fidarci di loro. Accettare di parlare con qualcuno significa accettare di condividere un quadro comune di norme tacite che permettono almeno lo scopo modesto di arrivare a comprendersi. Ci aspettiamo ad esempio che chi ci parla fuori o dentro la rete cerchi di essere pertinente per noi, di minimizzare i nostri sforzi di comprensione, insomma di attenersi a un certo numero di massime della conversazione che sono state oggetto di studio di molti filosofi (primo di tutti Paul Grice) e che regolano lo scambio comunicativo. Assumiamo una postura conversazionale ogni volta che accettiamo di parlare con qualcuno, anche non faccia a faccia (per esempio, nel caso della lettura di un testo) e pensiamo che questo qualcuno abbia fatto degli sforzi per essere pertinente per noi. Anche nelle conversazioni vis à vis il tipo di fiducia che mettiamo in gioco è una fiducia virtuale: adottiamo una postura di fiducia nei confronti della benevolenza e nella competenza dell’altro nel voler comunicarci qualcosa che è pertinente nel contesto in cui stiamo comunicando. La fiducia virtuale non è tipica quindi di Internet: è tipica in generale dei contesti di conversazione. Fidarsi dell’altro nella conversazione significa accettare la vulnerabilità cognitiva di condividere una serie di cose dette “per il bene del discorso” (for the sake of the conversation). Il che non significa che saremo immediatamente portati a credere o agire sulla base di ciò che è stato detto. Questo umanizza i nostri interlocutori senza renderci né emotivi né creduloni. La comunicazione, anche differita, è un atto volontario. Riconoscere l’intenzione dell’altro di comunicare con noi significa dargli uno statuto di persona. E’ dargli fiducia nella sua intenzione di volere comunicarci qualcosa di significativo per noi. E’ una fiducia virtuale, che possiamo sospendere rapidamente in presenza di altre informazioni che entrano in contraddizione con quello che ci viene detto o informazioni che nella conversazione possiamo avere acquisito sulla persona con cui interagiamo. Difatti la fiducia virtuale che mettiamo in gioco nella conversazione può trasformarsi in fiducia reale quando l’interazione è ripetuta e ci permette di ricostruire, a partire da una serie di indizi, il profilo psicologico del nostro interlocutore. Le relazioni interpersonali su Internet passano ancora per la maggior parte attraverso lo scambio linguistico. La comunicazione è un’attività cognitiva ricca e complessa, che mette in gioco tante competenze cognitive, come la capacità di interpretare il linguaggio come un indizio di un’intenzione di un agente. Su Internet, dietro ai testi intuiamo la presenza di agenti, di persone che si rivolgono a noi. E molta psicologia cognitiva ci mostra che siamo dei “virtuosi” nel “mentalizzare” gli altri, ossia, nel dare una lettura psicologica dei comportamenti intenzionali, come gli atti comunicativi. La fiducia virtuale presupposta da qualsiasi conversazione ci permette di tessere una fiducia reale, di stabilire chi sta dietro alle parole. Proprio per la sua complessità di attribuzione di intenzioni, la conversazione è sempre un’attività selettiva: non possiamo parlare con tutti. Ed è per questo che la dimensione sociale di Internet, potenzialmente globale, non fa di Internet un mezzo di comunicazione di massa al pari della televisione. I discorsi lanciati su Internet, in un weblog o in un newsgroup per esempio, non sono indirizzati a tutti, ma solo a quei potenziali interlocutori che ne riconoscono la pertinenza per loro. La prossimità fisica non è un buon criterio per stabilire la fiducia. Possiamo essere vicini a persone a cui non abbiamo intenzione di rivolgere la parola. Un’etica di Internet è allora in primo luogo un’etica del discorso, delle norme tacite che regolano la nostra parola.


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