Saturday, March 03, 2007

Di chi Fidarsi? Lettura di The Departed


The Departed. Il bene e il male. Regia di Martin Scorsese 2007.

Draft. Do not quote without permission



Cosa significa fidarsi ? Ci fidiamo degli altri sulla base di un sentimento, di un’intuizione emotiva, o sulla base di ragioni e di valori condivisi? La fiducia è una decisione, un’azione razionale o è un salto nel buio ? Quali sono gli indizi, i segnali che mi fanno decidere di fidarmi o non fidarmi? Georg Simmel definiva la fiducia come uno stato intermedio tra sapere e non sapere, un mélange di credenze e sentimenti che ci porta a rischiare un investimento sugli altri, in una situazione in cui l’incertezza è grande e in cui la nostra azione ha conseguenze sulle azioni altrui. Concetto chiave per comprendre l’azione sociale e morale, la fiducia resta nondimeno una delle nozioni più intrattabili della filosofia e delle scienze sociali. C’è una dimensione misteriosa di questo atto di fede condizionato in cui sembrano mescolarsi calcolo e impulso. Le ragioni che abbiamo di fidarci dipendono spesso dall’esistenza di procedure istituzionali – leggi, regolamenti, contratti – che vincolano gli interessi degli altri ai nostri : ci possiamo fidare di affidare i nostri soldi all’uomo dietro lo sportello della banca non perché ci fidiamo della sua persona, ma perché siamo a conoscenza di una serie di procedure e di sanzioni che fanno sì che convenga anche a lui agire nel nostro interesse. Sarebbe irresponsabile fidarsi in assenza di queste garanzie. Eppure, il sentimento confortevole di potersi fidare degli altri, di potersi abbandonare senza riserve al loro agire, sembra andare al di là del freddo calcolo razionale. Anzi, mostrare la nostra vulnerabilità spesso vincola l’altro a non tradirci. Questa tensione tra fiducia «disincantata», che deve stare alla base delle istituzioni di una società sana, e quel momento di incanto della fiducia che, come per magia, è in grado di creare una complicità su valori e sentimenti condivisi tra persone, è frutto dell’ambiguità del termine «fiducia», a volte usato per indicare uno stato di credenza sulle azioni degli altri, altre volte impiegato per indicare un’azione di impegno che influenza le azioni future altrui, a volte ancora per indicare un sentimento, una passione dell’anima, come la definiva Hobbes: «una passione prodotta dalla credenza o la fede che noi abbiamo in colui da cui ci aspettiamo o speriamo del bene» .
Non c’è film migliore dell’ultimo Scorsese, The Departed. Il bene e il male per parlare della dimensione multiforme di questa relazione così fondamentale nelle nostre interazioni. La storia si svolge a Boston, dove Frank Costello (Jack Nicholson) , capo di un clan criminale irlandese, prende sotto la sua protezione il giovane Colin Sullivan (Matt Damon), pagandogli gli studi con il progetto di inflitrarlo nella polizia di Stato del Massachussets in modo di avere una «talpa» all’interno che sventi i tentativi della polizia di catturarlo. Sullivan si rivela uno studente brillante, passa tutti gli esami e alcuni anni dopo lo ritroviamo alla cerimonia dei diplomi della scuola di polizia. Alla stessa cerimonia partecipa Billy Costigan (Leonardo Di Caprio), giovane dal passato tumultuoso, figlio di un gangster ucciso proprio da Costello.
Ben presto Sullivan comincia a fare carriera e insieme evita noie a Costello, il suo protettore. Costigan è designato invece dal capitano Queenan (Martin Sheene) e dal sergente Dignam (Mark Walhberg) per inflitrarsi nella gang di Costello e dare informazioni sulle mosse del boss.
Il gioco delle parti ha così inizio: Costigan deve guadagnarsi la fiducia di Costello e Sullivan deve mantenere quella della polizia e insieme rassicurare il suo protettore che terrà fede al suo impegno e non lo abbandonerà. Le vite parallele dei due infiltrati si sfiorano a più riprese, fino ad incontrarsi alla fine, quando Costigan, già dopo la morte di Costello a causa del tradimento di Sullivan che gli tende una trappola per liberarsene, smaschera Sullivan, lo minaccia, ma viene ucciso dagli scagnozzi di Costello. Sullivan, che sembra riuscire a farla franca fino all’ultimo momento, verrà a sua volta ucciso nell’ultima scena del film.
Il fascino del film, interamente giocato sulla complessa trama di relazioni di fiducia e sfiducia che si intesse tra i personaggi è che tutte le relazioni sembrano essere basate su una fondamentale ambivalenza di valori e di intuizioni sul perché fidarsi. Il capitano e il sergente che indagano sulla vita di Costigan per presceglierlo per l’odioso ruolo di infiltrato fanno un atto di fiducia e di sfiducia insieme: Dignam gli spiega che un passato così lo rende sospetto: «Non ci si può fidare di qualcuno che non ha niente da perdere». Dignam qui intende la fiducia come un calcolo razionale: mi fido di te se credo che sia nel tuo interesse tener conto dei miei interessi: ma se qualcuno non ha interessi, non ha motivazioni razionali a massimizzare una qualsiasi utilità, non è affidabile: è l’interesse, non il disinteresse quindi che ci dà la misura dell’affidabilità dell’altro. L’antipatico Dignam illustra a Costigan le ragioni della sua sfiducia nel suo futuro di poliziotto regolare, mentre il molto più umano capitano Queenan lo investe di fiducia nell’affidargli il ruolo di talpa. Queenan dà fiducia a Costigan non solo su basi razionali: se Costigan davvero non ha nulla da perdere, perché dovrebbe comportarsi correttamente come infiltrato? Queenan lo guarda dritto negli occhi, e cerca di stabilire un rapporto di fiducia più profondo, paternalistico si direbbe, basato sulla sua figura di capitano buono e onesto che si fida che i suoi uomini siano bravi ragazzi. Sa che il suo atto di fiducia in lui, che non ha nulla da perdere, sarà riconosciuto da Costigan proprio come la ragione sufficiente per stare al gioco e non tradire la polizia.
La prima reazione di Frank Costello all’arrivo di Costigan nella sua gang è simile a quella di Dignam. Come fidarsi di un disperato? Di qualcuno che non ha nemmeno paura di morire? Costello, boss criminale, può fidarsi della paura dei suoi uomini dato il suo arbitrio nelle decisioni di vita e di morte. Costigan è uno spiantato, ha perso il padre in scontri di gangs, non ha una famiglia da cui tornare, non ha paura di morire. Ma Costello conosceva bene il padre e lo zio di Costigan, e, seppur nemici, ne apprezzava la spietatezza. La fiducia di Costello è dunque in questo caso una questione di reputazione: il figlio e il nipote di un buon delinquente è anch’esso un buon delinquente. L’antica rivalità con la famiglia di Costigan crea dunque una relazione ambivalente di «nemici fidati» tra Costigan e Costello.
Più interessante ancora è la relazione tra Costello e e il suo protetto Sullivan, infiltrato nella polizia. Un’asimmetria evidente che si riscontra in tutta la letteratura filosofica dedicata alla fiducia è che se è possibile cercare spiegazioni in termini di motivazioni, sentimenti e ragioni del perché la gente dà la sua fiducia agli altri, molto più difficile è spiegare negli stessi termini quale sia il motivo che ci spinge a onorare la fiducia che ci è data. Perché il fatto che qualcuno ci ha investito della sua fiducia crea in noi una pressione normativa? In fondo potremmo rifiutare l’atto di fiducia come una sorta di abuso. La madre che dice al figlio: «sono sicura che non sposeresti mai una ragazza così volgare: mi fido di te» non sta forse imponendo i suoi valori al figlio senza tenere conto di quello che pensa lui? Si potrebbe dire che se la legge punisce un delitto di abuso di fiducia solo in un senso, ossia nel caso in cui colui che fa fiducia viene tradito, esiste un simmetrico delitto nell’altro senso, laddove la fiducia è riposta in modo arbitrario, senza tener conto dei valori e delle preferenze del beneficiario dell’atto di fiducia. Insomma, perché devo sentire un imperativo morale ad onorare la fiducia di qualcuno con cui non condivido i valori per esempio? Prendiamo il caso di Sullivan. Costello l’ha protetto fin da bambino, ha pagato per i suoi studi, l’ha seguito come un padre. Ora Sullivan è adulto, la sua carriera nella polizia è brillante. In fondo è libero, e potrebbe avvalersi della sua nuova posizione per denunciare Costello, liberarsi della sua pressione e delle sue minacce e denunciarlo. Se la fiducia fosse basata solo sul calcolo degli interessi reciproci, chi dice a Costello che Sullivan abbia sufficienti interessi ad onorare la sua fiducia? Nessuno lo dice. E difatti la fiducia di Costello in Sullivan è il suo tallone d’Achille proprio perché è pre-razionale e rimanda a un mondo arcaico di valori paternalisti, dove si onora il padre minaccioso, lo si rispetta e se ne ha paura. La fragilità di Costello sta proprio nel suo appartenere a quel mondo spietato ed antico, dove funzionano relazioni di potere autoritario e di onore. Sullivan ha un debito morale dei confronti di Costello ed è questo sentimento morale di ripagare il suo debito che dà fiducia a Costello. Ma è un errore fatale. Sullivan infatti è ben più scaltro, e fa parte di un mondo nuovo: il suo interesse personale, la sua ambizione vanno al di là degli impegni presi sull’onore, sull’affetto o la parola. Nel momento in cui viene affidata a lui la guida di un’unità speciale la cui funzione è proprio di smascherare la talpa di Costello all’interno della polizia, Sullivan si gioca tutto, anche Costello, e lo sacrifica all’altare della sua ambizione. Non la passerà liscia però: l’estetica del dramma non lo può risparmiare.
Nelle fitte relazioni tra i tre uomini si inserisce una donna, la psicologa criminale Madolyn (Vera farmiga), che comincia una relazione con Sullivan e si trasferisce a casa sua. Nonostante alcuni indizi, come una lunga e misteriosa telefonata sul terrazzo del loro appartamento sulla quale Sullivan non vuole svelare nessun dettaglio: «Ci sono cose del mio lavoro che preferiresti non conoscere»,Madolyn vuole fidarsi, vuole credere in questa nuova relazione e chiude gli occhi. Per ragioni professionali, Madolyn ha alcuni colloqui con Costigan. Una sera Costigan, disperato, si fa trovare a casa sua. Le chiede aiuto. Si mostra vulnerabile e Madolyn si fida, lo ospita e fa l’amore con lui. La fiducia di Madolyn è come una vaga promessa di valori condivisi intravveduti: come se ci fosse una complicità possibile tra di loro in una situazione in cui l’informazione a disposizione di entrambi è poca. E difatti sarà proprio Madolyn a cui Costigan invierà alla fine la prova del tradimento di Sullivan prima di esser ucciso. Madolyn e Costigan si abbandonano l’un l’altro alla loro reciproca vulnerabilità: il loro incontro è l’unico momento di tregua del film, l’abbandono infine alla fiducia calda, affettiva di non volersi far male l’un l’altro. Nella loro relazione sta tutto il potenziale liberatorio e sovversivo della relazione affettiva di fiducia: il salto nel buio che mi fa fidare dell’estraneo, del sospetto, al di là di qualsiasi evidenza è l’unico modo che ho per rivelargli i miei valori, per chiedergli di condividerli: se risponderà di sì, se onorerà la mia fiducia, allora avrò scoperto un mio simile, e proverò quel sentimento di complicità nei confronti di qualcuno disposto a condividere un mondo di valori con me. Così Madolyn e Costigan sono complici ormai di un mondo di valori di onestà condivisi contro tutti i sospetti. E sarà lei a piangerlo al suo funerale. Così Costigan prima di morire, mentre minaccia Sullivan con una pistola perché sa che è lui la talpa, chiede al poliziotto che giunge sul luogo per soccorrere Sullivan di fidarsi di lui, di non ucciderlo anche se non depone la sua arma. Chiede un atto di fiducia incondizionato al poliziotto, ricordandogli che erano a scuola di polizia insieme; gli chiede insomma un atto di fiducia personale, al di là dei ruoli istituzionali: deve credergli, deve credere che se lui sta minacciando Sullivan una ragione c’è. Il poliziotto è perplesso, ma alla fine cede e abbassa la pistola.
Il potere morale della fiducia è tutto qui, in quest’ultima relazione: nel rivelare a volte, al di là degli interessi, dei ruoli sociali, della reputazione e delle motivazioni, un mondo di valori condivisi, un mondo anelato dove qualcun altro ci chiede di essere all’altezza proprio di quelle qualità, di quelle virtù di cui vorremmo da sempre essere all’altezza.