Friday, April 27, 2012

The Best Pistachio Pesto Ever


I came back from Cairo, where I visited the Museum, Tahir Square and the local supermarket in the Zamalek neighborhood, for me always the best experience to understand a new place. I am a pistachio addict, I love pistachio in all its possible epiphanies, I can go on hours discussing the "ultimate pistachio taste" in an ice cream....Egypt is the paradise of pistachio, I thought it was Sicily, but I was wrong: It is definitely Egypt, and this adds even more seduction to this wonderful civilization.

So, I bought two big packs of pistachio nuts and brought them to Paris with a vague idea of possible culinary uses. I knew about some recipes of pesto with pistachio, and wanted to try one of these, but could not find anything really inspiring on the web. So I have created a new one. And it was great, just great, so much better than the traditional pesto, a super-Italian dish with a touch of new, Mediterranean flavor...

Here it is:

Two cups of pistachio
One cup of basil leaves
Two cups of peppermint leaves
150 g of pecorino cheese
6 large spoons of good olive oil

Put the basil leaves, half of the mint leaves, the pecorino cheese chopped in small pieces, 4 spoons of olive oil and one cup of pistachio in the blender and blend it. When it looks like a green creamy sauce, stop, and put it into a large bowl. Take the other cup of pistachio and crush them gently in a mortar with the rest of the mint leaves. Then mix them with the green sauce you have already made.

Boil a large amount of water (this is the secret of a good pasta!) in a pot, salt it and add linguine or spaghetti. Take two or three large spoons of the boiling water and add it to the sauce to make it softer. When the pasta is ready, drain it, and put it in a large recipient where you have already put the sauce. Add some chopped mint leaves and some pistachios for decoration. If you are a Milanese as I am, you can add some freshly grated lemon zest on the top...

A bliss!

P.S. Note also that pistachio is 10 times cheaper than pine nuts, at least in France...

Saturday, April 21, 2012

Se Don Giovanni diventa Berlusconi | Gloria Origgi | Il Fatto Quotidiano

Se Don Giovanni diventa Berlusconi | Gloria Origgi | Il Fatto Quotidiano

Sono andata ieri sera a Parigi a vedere il Don Giovanni, produzione del 2006 dell’Opéra di Parigi, ripresa quest’anno al Théatre de la Bastille con la regia di Michael Haneke, il sulfureo registaaustriaco del film La Pianista.

La scena è glaciale. A un piano alto di un moderno edificio di vetro e acciaio, con una vetrata che si affaccia sui grattacieli vicini, i personaggi entrano ed escono da ascensori con accecanti luci al neon e la vicenda si dispiega sul pianerottolo, davanti alle porte grigie degli appartamenti ai quali non abbiamo mai accesso durante i due atti. Com’è il caso in alcuni edifici newyorkesi di lusso, questo moderno ballatoio con vista ospita qualche tavolino e un frigorifero, dove i personaggi vengono a rifocillarsi tra un’impresa e l’altra.

Don Giovanni, è un trader in vestito blu, camicia e cravatta scura, accompagnato da un Leporello complice, anche lui vestito da Wall Street e chiaramente infatuato del seduttore, che sì va in giro a fare conquiste, ma che alla fine cena in duetto con il servo/amico, un sodalizio gay tra uomini che sì, seducono le donne, ma si amano segretamente tra di loro.

Il fisico imponente del baritono svedese Peter Mattei rende la prima scena degna di un poliziesco americano. Donna Anna esce dalla porta dell’appartamento accapigliandosi con lo sconosciuto per cercare di smascherarlo. Interviene il commendatore che sfida Don Giovanni in duello e viene ucciso. La violenza della scena è già una condanna irreparabile e dà il tono a tutto il seguito.

Incapace di amare, Don Giovanni è una specie di gelido maniaco, che alla maniera del protagonista del film Shame, storia di un sex-addict newyorkese alle prese con i sensi di colpa, si porta a letto una donna dopo l’altra senza nessun piacere. E queste ci stanno non perché sono sedotte, ma perché sono schiacciate dalla relazione di potere con il signore. Come un Berlusconi del bel canto, o uno Strauss-Kahn ringiovanito, Don Giovanni si fa tutte quante perché è ricco, potente e aggressivo: se le porta nel suo freddo appartamento dalla strada, brutte ragazze vestite di jeans e maglietta, intimidite da quell’atmosfera agghiacciante, che ci staranno per qualche centinaio di dollari.

La festa di matrimonio di Masetto e Zerlina, una delle scene più allegre, liberatorie ed erotiche dell’opera, con il motivo delle “Giovinette che fate all’amore che fate all’amore, non lasciate che passi l’età…” diventa una riunione di donne e uomini delle pulizie, per lo più immigrati dall’aria triste e sconfitta, che si ritrovano a spazzare il pianerottolo del seduttore. Zerlina ha i capelli raccolti in una coda di cavallo, occhiali spessi e brutti e indossa uniforme e zoccoli. Non cede al fascino del seduttore, ma alla sua potenza, al suo totale dominio sociale, economico e culturale su di lei e Masetto.

La cena finale di Don Giovanni e Leporello, a base di fagiano e Marzemino, l’ultimo disperato tentativo di Don Giovanni di resistere alla sua ora ormai suonata, la fine che lo insegue nella figura del convitato di pietra è, nell’interpretazione del filosofo Sören Kierkegaard, l’ultima sfida dell’ “uomo estetico” alla morte. Don Giovanni sa che è condannato, sa che la vita passa, che è un’assurda vanitas, ma non si piega, e fieramente invita una banda di musicanti ad assistere al suo ultimo pasto:Già la mensa è preparata/Voi suonate, amici cari/Giacché spendo i miei danari/Io mi voglio divertir.” E invece, nell’interpretazione di Haneke, l’ultima cena è una vaschetta di sushifreddo mangiata sul pianerottolo con Leporello. Davvero qualcuno rimanderebbe l’ultimo istante per succhiarsi qualche sushi in piatti di plastica sul pianerottolo?

Ma che visione è del piacere, della seduzione, pure del peccato? Anche il più moralista dei moralisti sa che si pecca è perché è un gran piacere peccare: quel bicchiere di vino in più cui non sappiamo resistere perché è talmente buono, l’ennesima dieta andata in fumo davanti a un’irresistibile tavolata di amici, l’ennesimo buon proposito di fedeltà tradito da quel sorriso d’intesa…

Opera totale, il Don Giovanni si presta a tutte le interpretazioni. Il tema in re minore dell’ouverture è già anticipazione tragica della fine, come la nascita è anticipazione della morte. Don Giovanni – opera scritta due anni prima della rivoluzione francese – è un misto di inno alla libertà e insieme un’anticipazione del romanticismo, della battaglia estetica contro l’orrido precipizio della fine. Don Giovanni non sa scegliere, non si decide mai, procrastina perdendosi nell’istante e la vita gli sfugge tra le mani, tra burle, risate, fughe rocambolesche e menzogne. Personaggio a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, la sua psicologia è quella dell’eroe (o anti-eroe) romantico, la sua politica quella del libertino. Il sesso, ingrediente-chiave della filosofia libertina, è strumento di liberazione e di vittoria sui rapporti di classe (si ricordi il famoso Catalogo).

E invece, nella morale neo-vittoriana della nostra epoca barbara, dove il libertinismo è diventato pornografia, i rapporti tra uomo e donna gestiti solo dal potere, e dove non c’è spazio per nessun piacere vero che non sia un’inutile corsa a un potere e a un denaro che ci serviranno solamente a trovarci soli in una camera di un Sofitel a guardare un film porno, Don Giovanni non gode, non ama, non vive, se ne sta sul suo pianerottolo, è punito perché è un porco di cui non abbiamo nessuna pietà e nessun rimpianto.

Sono uscita con una grande tristezza, e un’assurda, romantica, sensazione di rimpianto per un’era perduta, forse mai esistita, un’era in cui il sesso, l’amore e il piacere erano strumenti di liberazione e non di dominio e di potere, in cui fuori dalle convenzioni non c’era solo perdizione e punizione, ma c’era, forse, libertà, come recita il nostro eterno alter-ego alla fine del primo atto: “Venite pure avanti, è aperto a tutti quanti, viva la libertà!”

Tuesday, April 10, 2012

L’Ottimista | Gloria Origgi | Il Fatto Quotidiano

L’Ottimista | Gloria Origgi | Il Fatto Quotidiano




Vorrei proporre un’iniziativa al direttore di questo giornale: una rubrica intitolata L’Ottimista e dedicata ogni giorno a una buona notizia! La crisi catalizza l’attenzione, le paure di catastrofi future bloccano la creatività, le società s’irrigidiscono, le porte si chiudono, le tasche si cuciono proprio nel momento in cui, non avendo certezza del domani, dovremmo cercare le soluzioni più creative, azzardate. Tanto che c’è da perdere?
Vendere l’automobile per pagarsi finalmente quel corso di cinese che da tempo si voleva fare, follia? Chissà: magari l’inizio di una vita più ecologica e di un ricco business con l’estremo oriente…
Eppure l’ottimismo non incontra sempre simpatie: ha qualcosa di thatcheriano, di reaganiano, di sorriso all’americana con troppi denti di quello che ti dice: “I’m feeling lucky, and if you don’t, it’s your fault”. L’ottimismo sa di visione della vita muscolare, dove l’iniziativa personale diventa l’unica salvezza, e chi non ha immaginazione non ha scampo. Il pessimismo è invece spirito critico, è disincanto: è sapere che anche quando ti raccontano che le cose vanno bene, in realtà vanno male…Insomma, l’ottimismo è ingenuo e stupido. Ma dato che nessuno ci racconta più che le cose vanno bene e che quindi non ci vogliono maestri del sospetto per svelare la verità - ossia che le cose vanno malissimo - forse è il momento di credere un po’ più in noi stessi e provare a immaginarci quale mondo migliore siamo capaci di costruire.
Ecco qualche esempio.
Un designer israeliano quarantunenne, padre di famiglia, stufo delle minacce incombenti sul futuro di un possibile bombardamento dell’Iran da parte di Israele, ha cominciato a diffondere su Facebook e su YouTube manifesti con su scritto: “Iranians, We Love You: We Will Never Bomb Your Country”: http://www.youtube.com/watch?v=mYjuUoEivbE
L’iniziativa ha avuto un enorme successo: i manifesti girano per tutto il mondo, i cittadini iraniani hanno cominciato a rispondere con altrettanti manifesti: “Israelis we love you”. La notizia è stata ripresa dalla CNN, dai siti più di tendenza americani come: http://www.3quarksdaily.com/3quarksdaily/2012/03/the-israel-iran-love-affair-on-facebook.html , insomma, un successo, e una voce che i governanti non potranno ignorare quando dovranno prendere le decisioni cruciali.
Oppure, restiamo in Italia. A Sambuca di Sicilia, meravigliosa cittadina della provincia di Agrigento, esisteva la tradizione nell’Ottocento, per la festa di Santa Maria dell’Udienza, di illuminare l’elegante corso principale di “un’illuminazione fantastica alla Veneziana, con 7800 palloncini e bicchieri di vetro di svariate forme e colori ritirati appositamente dall’antica e premiata fabbrica di Murano”, come recita il manifesto affisso nelle strade nel 1899 per annunciare la festa.  Il corso Maggiore si presentava così come “una vasta galleria di un aspetto sorprendente, adorna di 24 archi, 60 candelabri di diverse e bizzarre forme e di una bellissima ed artistica fontana luminosa”. Della tradizione, a poco a poco dimenticata, rimaneva qualche traccia in vecchi magazzini della città: pilastri impilati ricoperti di polvere, vetri rotti, e sempre meno abitanti che ne conservavano un ricordo personale. Così, un gruppo di fieri ed entusiasti sambucesi (così si chiamano gli abitanti di Sambuca) ha lanciato un appello e un gruppo su Facebook: Salviamo l’illuminazione alla Veneziana: http://www.facebook.com/groups/213638325375364/photos/ chiedendo sostegno, materiale, morale, economico etc., per rimettere in sesto questa vecchia gloria della città. E il miracolo è avvenuto. Su Facebook si possono vedere le foto di decine di volontari al lavoro, che hanno ripristinato le vecchie gallerie, soffiato il vetro, rimesso in sesto per la pura gioia di ammirarlo nella loro città, un patrimonio culturale italiano. Quest’anno, a maggio, per la festa della Madonna dell’Udienza, i cittadini e tutti quelli che ne hanno voglia, potranno ammirare questo piccolo gioiello siciliano. Bello, no? Perché non provarci? Perché non provare a crederci e a scegliere un mondo migliore?
Va bene, per oggi ho già trovato due buone notizie. Aspetto suggerimenti e, con un po’ di ottimismo, incoraggiamenti.